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Comets - Recensione

Concludiamo (per ora) il nostro approfondimento sul cinema georgiano contemporaneo con l’opera prima di una giovane regista, Tamar Shavgulidze. Il breve film, appena 70 minuti, racconta di un amore tra due donne che sbocciato in gioventù, in età adulta ha bisogno di essere concluso, di essere spiegato e chiarito

Durante un’assolata estate in Georgia, Nana parla con la figlia Irina dell’imminente pranzo di famiglia nell’attesa che arrivi l’altro figlio. Poi Irina esce per andare a fare delle compere e nella casa di Nana compare, anzi ricompare, Irina. Le due donne non si vedono da più di trent’anni, non si parlano dalla fine di quell’altra estate in cui, da adolescenti, era maturato e fiorito il loro amore. È quindi, arrivato il tempo di un confronto, forse di una riconciliazione, sicuramente di un momento in cui riallacciare ciò che è stato al presente.
L’opera prima, e per ora unica, della regista georgiana Tamar Shavgulidze è un racconto d’amore e ricordi, una ricerca della volontà di mettere un punto fermo nella vita delle due protagoniste, dopo un sospeso intriso di sentimenti e passione che dura da trent’anni. Nella sua essenza più intima, Comets è un confronto, un dialogo tra le due donne, uno scambio di ciò che è stato e dichiarazioni che si articola tra il presente e immagini di quell’estate in cui tra le due sbocciò l’amore. Questo atto di rimembranza appare inaspettato, perché Irina (Nino Ksradze) compare improvvisamente nella casa di Nana (Ketevan Gagoshidze), ma in realtà lo sguardo fermo e deciso che si intravede dietro i profondi occhiali da sole della prima contrapposto a quello velatamente triste della seconda, fa presagire allo spettatore che quel momento di dialogo era atteso da lungo tempo. Questo senso di dolce resa dei conti si manifesta attraverso le interpretazioni delle attrici e attraverso la macchina da presa che inquadra sempre orizzontalmente Irina e Nana ora sedute a un tavolino ora in piedi mentre passeggiano nel giardino. Gli argomenti sono molti, il perché di determinate scelte, la loro volontà, il loro passato e il presente (Nana è rimasta nella città natale, è vedova e ha due figli grandi, mentre Irina è un’affermata donna d’affari che vive a Cracovia), ma sembra sempre che qualcosa non si riesca a dire e forse non è il caso di dire. Lo spettatore, pertanto, deduce che la società, con le sue regole, le sue tradizioni, soprattutto famigliari, non ha voluto accettare il loro amore giovanile. Questo è un elemento che la Shavgulidze affida ai non detti dei dialoghi, alle pause, agli sguardi bassi e rassegnati delle due protagoniste.
Cosa c'è, quindi, tra loro adesso? Quale sentimento si pone a distanziare Nana e Irina in questo presente da adulte? C’è rimprovero? C’è tristezza? Il loro amore è davvero una cometa che ha attraversato le loro vite, graffiando il loro animo? Questo è l’interrogativo principe che nella parte finale del film la regista consegna nelle mani di chi guarda in una scena che vede le due donne da giovani osservare, cercandosi, stringendosi, intrecciandosi, abbracciandosi stese su un asciugamano a terra, mentre guardano in un cinema all’aperto un film di fantascienza sugli alieni. L’inserimento di questa pellicola è una metafora per descrivere il forte sentimento estraneo a quella società che ha tenuto insieme Irina e Nana nel corso della loro vita. Questa soluzione, però, è un po’ posticcia, sia perché arriva sullo schermo improvvisamente, interrompendo la scena in cui le due donne e la giovane figlia Irina dialogano in un evidente imbarazzo di torte, sia perché vuole conferire un accento al film più sociale, l’accettazione di un amore diverso in una realtà tradizionalista, quando invece era più premiante la narrazione dei sentimenti.

Se il film, infatti, avesse avuto una maggiore virata verso il cuore, il nascere e il ricordo della passione amorosa giovanile, e i flashback fossero stati maggiormente puntanti allo sbocciare dell’amore, più che sul perché dell’interruzione per i motivi sopra citati, Comets sarebbe rimasto più vivo negli occhi degli spettatori. Invece questa volontà registica di unire il racconto amoroso nel passato alla sua sconfitta sociale ha dato al film una non chiara direzione. È comunque un’opera prima e la Shavgulidze ha ben figurato come narratrice di immagini. 




Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 2.5

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Davide Parpinel

Del cinema in ogni sua forma d'espressione, in ogni riferimento, in ogni suo modo e tempo, in ogni relazione che intesse con le altri arti e con l'uomo. Di questo vi parlo, a questo voglio avvicinarci per comprendere appieno l'enorme e ancora attuale potere di fascinazione della settima arte.

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